giovedì 14 febbraio 2013

INTERVISTA AD ASKER - di Giada Pellicari


A distanza di un anno abbiamo avuto il piacere di intervistare nuovamente Asker, writer e artista eclettico, che si muove tra graffiti, il graphic design per arrivare fino al mapping.

Giada:Tu hai iniziato a fare graffiti nel 1998, impostando il tuo stile già sulla tridimensionalità del lettering legato però a delle componenti fitomorfiche. Vuoi raccontarci come hai iniziato a fare graffiti e come vedi la tua evoluzione stilistica in questi quindici anni?

Asker: Diciamo che iniziai a fare bozze e studi di lettering nel '98 ma fu nel '99 che mi sentii pronto a fare il mio primo wildstyle su muro.
Non intrapresi da subito la strada del lettering 3D, feci parecchi anni a studiare, sviluppare e fare pezzi "classici" sempre rivolti piu al wildstyle che al bombing o al throwup.
Ritengo fondamentali gli studi sul mio lettering bidimensionale di quegli anni, è da li che si è formata la base del mio stile e di come concepire le lettere, i loro incastri e vari loop.
Con il passaggio al 3D ho dovuto far fronte a un livello di complessità maggiore, dovevo studiare come far coesistere l'armonia e gli incastri che facevo prima anche nella terza dimensione senza che si banalizzasse in una semplice estrusione di forme.
Dovevo rendere tridimensionale qualcosa che nasce su due dimensioni: la lettera.




G: Qual è il tuo rapporto con la città di Milano e come ha cambiato il tuo modo di fare graffiti lo studiare in questa città ed entrare in relazione con gli artisti della zona?

A: Se parliamo del mondo del Writing, non credo che Milano abbia influenzato il mio modo di fare graffiti, anzi mi sono sempre sentito un po' una pecora nera in una Milano che ha sempre guardato più alla concezione classica e newyorkese di graffito, a volte disprezzando la strada piu tedesca del 3D (almeno in quegli anni).
Pur abitando nell'hinterland milanese infatti conto più pezzi sparsi per l'italia che in Milano.
Ha invece influenzato molto il mio stile tutto quello che Milano mi ha dato al di fuori dei graffiti come l'università, il lavoro, le mostre, gli eventi e le serate meneghine.




G: Da quando hai cominciato sei entrato in diverse crew, tra cui ricordiamo i TAF, gli ACV e Interplay. Vuoi raccontarci il rapporto con i diversi writers e le peculiarità di queste crew?

A: Inizio parlando dell'INTERPLAY, la mia crew milanese, in modo da smentire subito la risposta sopra... O per confermarla con l'eccezione!
Con Weik, Banc+, Mind2 e Senso c'è una sorta di feeling artistico, stilistico e personale che ci porta a oscurare l'individualismo da writer per concepire murate talmente uniformi da sembrare fatte da una persona sola.
Qualche anno fa ricordo che circolava il termine "interplayata" a indicare una murata con pezzi di diversi writers fortemente incastrati insieme a tal punto da rinunciare ad alcune lettere se serviva a migliorare la composizione finale della murata.
Credo che la murata Interplay Anatomy sia un po' il nostro manifesto.






Ho sempre dato alla crew un valore d'amicizia prima di tutto, ossia mi è sempre importato avere un ottimo feeling con gli altri membri sia su muro sia alla sera a bersi una birra tutti insieme sia nelle varie avventure alle jam.
La TAF, che fu una diramazione della mia primissima crew: la SK, mi ha dato modo di incontrare alcuni di quelli che sono tutt'ora i miei migliori amici.
L'ACV è invece la mia crew "a distanza" in quanto son tutti friulani e veneti.
Nasce dallo stesso concetto, dopo esserci conosciuti a qualche jam e dipinto insieme io e Style1 (fondatore dell'ACV) ci siamo trovati allineati nei modi di vedere e vivere il writing e di conseguenza ne è nata una forte amicizia tant'è che tuttora ci sentiamo spessissimo pur abitando a quasi 400 km di distanza l'uno dall'altro, e idem con gli altri componenti ACV: Sly, SuperB e il nuovo arrivato Grone.
Stilisticamente è meno omogenea che l'Interplay, il che fa si che ne escano interessanti esperimenti e contaminazioni.





G: Recentemente hai preso parte alla mostra Neverending History che i TDK hanno organizzato a Milano e a Torino e sei divenuto un membro della crew. Vuoi raccontarci com’è andata?

A: Esatto, e qui per la seconda volta contraddico (in parte) la risposta sopra.
La mia entrata in TDK esce un po' dalla mia concezione di crew fondata sulla forte amicizia e conoscenza dei componenti… o meglio di tutti i componenti.
Della TDK posso dire di conoscere molto bene alcuni membri (due fanno anche parte delle altre mie crew: Style1 e Senso), abbastanza bene altri e poco o nulla altri ancora.
Purtroppo ho dovuto prendere atto che col tempo, a causa del lavoro, impegni e vicissitudini personali è inevitabile che si prendano strade diverse e si tenda a perdere un po' i rapporti con i soci di crew, alcuni smettono di dipingere e altri si trasferiscono all'estero; quindi, per quanto la mia vecchia convinzione mi ha regalato splendidi momenti ora diventano sempre più rari e quindi ho dovuto rivalutare un po le mie posizioni.

La TDK è una crew storica e importante, mi ricordo quando guardavo le foto su Aelle da ragazzino, quindi per me è un onore farne parte e, non ultimo, ho un ottimo rapporto con Raptuz (che conosco ormai dal 2007 quando ci fu la prima "spedizione" a Los Angeles), così quando me lo chiese accettai.




G: Nella tua pratica ti muovi tra graffiti, grafica e mapping. Vorrei che parlassimo in maniera più approfondita del Mapping 3D, dato che uno degli ultimi tuoi lavori infatti è stato il progetto di Video Mapping a Venezia per il Gruppo Green Power.
Mi interesserebbe sapere se vedi una relazione tra il Writing e il mapping soprattutto per quanto riguarda la relazione e lo sviluppo che entrambi hanno con le architetture. Mi riferisco principalmente a dei casi dove molte volte writers che si occupano di Graffiti si occupano anche di New Media (in Italia oltre a te un altro esempio è Verbo), e a livello internazionale a quelli che sono gli studi di Evan Roth (con il suo bellissimo testo Geek Graffiti) e a tutto il lavoro di ricerca che esiste dietro a Graffiti Research Lab. Cosa ne pensi?

A: Io credo che i graffiti siano una cultura, un movimento con delle basi e il video mapping sia un mezzo d'espressione.
I graffiti potranno sfruttare il mapping come nuovo mezzo d'espressione, come sta già avvenendo (in una forma non ancora matura a mio avviso).
Il fatto che il mapping agisca ANCHE sulle architetture e in grandi dimensioni è sicuramente il fattore che più di altri ha attirato molti writers, ma si tratta pur sempre di un mezzo, non ne parlerei mettendoli sullo stesso piano, ci tengo a precisarlo.
Sarebbe come paragonare i graffiti alle bombolette spray.
Trovo un parallelismo più azzeccato tra writing e pubblicità per invadenza, tecniche e luoghi d'azione… e infatti la pubblicità ci è arrivata prima a utilizzare come strumento il video mapping per i suoi scopi.
Detto ciò, trovo molto intrigante l'incontro graffiti-mapping, i writers si trovano ora a "giocare" con la dimensione tempo-animazione che può far "vivere" le loro lettere stando comunque nel loro ambiente urbano.
Ci sarà inoltre una sorta di ribaltamento temporale: prima si agiva di notte per essere visibili di giorno ora si lavorerà per essere visibili di notte (o al buio).
Personalmente, proprio in questo periodo, sto sviluppando un progetto personale che vede l'interazione tra i miei pezzi e il mapping; per me è anche un naturale punto d'incontro tra le mie varie passioni/lavori.
Non entrerò in dettagli per scaramanzia, dico solo che sto cercando quale sia il giusto senso da dare all'integrazione del mapping nei graffiti, nelle sperimentazioni che ho visto finora fatte da altri writers, per quanto siano di qualità, ho sempre trovato che mancasse qualcosa, il giusto equilibrio forse.
Finora non sono ancora soddisfatto dei miei risultati, vedo delle potenzialità che ancora non sono state scoperte… e non è detto che le scopra io, ma so che ci sono, che c'è un punto di evoluzione non ancora toccato.